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Sospesi sul baratro

Quando siamo in una relazione sentimentale siamo come due scalatori, sospesi su un baratro, allacciati allo stesso destino.

La prima cosa che dovremmo capire è che ormai siamo lì.

Non sarà possibile uscirne in un modo facile.

Sarebbe bello conquistare insieme la vetta.

Ma a volte potrebbe andare bene anche rinunciare e tornare a valle sani e salvi.

Il problema è che ormai, qualsiasi cosa dovremo fare, la dovremo fare insieme, o non ci salveremo dal baratro.

Ognuno di noi due si è andato ad infilare in questo “stare insieme allacciati”, e non ci sarà modo di uscirne con una bacchetta magica.

Non potremo semplicemente “tagliare la corda”.

Dovremo aiutarci per salire, o aiutarci per scendere, ma ormai fare da soli significherebbe scatenare la guerra e finire nel baratro.

Il problema è che nella relazione finiamo continuamente in una situazione che potremmo chiamare lo “stallo degli scalatori”.

Immaginiamo due scalatori, legati insieme da una corda, che stanno in bilico sui due lati di un baratro posto in mezzo tra loro.

Lo scalatore di destra si percepisce molto vicino ad un appoggio sicuro alla sua destra che salverebbe entrambi, e quindi spinge per andare a destra, ma la corda legata all’altro lo blocca, perché lo scalatore a sinistra vede un appoggio a sinistra e cerca di andare lì.

Se uno o l’altro degli scalatori penserà che “in assoluto” la salvezza è nella direzione che vede lui, sarà inevitabile il braccio di ferro, lo stallo e la caduta. Perché quei due scalatori, senza avvedersene, per perseguire lo stesso obiettivo (salvarsi entrambi), stanno mettendo in atto azioni che si ostacolano a vicenda.

Il problema è che entrambe le soluzioni sarebbero salvifiche, ma uno dei due dovrebbe decidere di fidarsi dell’altro e saltare il precipizio verso la direzione opposta a quella verso cui stava tendendo, per seguire la strategia di salvezza dell’altro.

Ma il più delle volte non lo facciamo.

Ci vorrebbe il coraggio, che spesso non abbiamo, di fidarci di quello che vede l’altro, rinunciando ad aggrapparci a ciò che vediamo noi.

Il coraggio di affidarci ad un invisibile, lasciando ciò che è visibile a noi.

Il coraggio di fare un salto nel vuoto, fidandoci di una salvezza che non possiamo vedere.

Spesso invece di arrocchiamo in un: “perché devo essere proprio io ad andare verso l’altro?”

Ma così facendo determineremmo la nostra fine.

Perché l’altro vede ciò che vede, ed ha il coraggio di fare ciò che ha il coraggio di fare.

E non sarà il nostro insistere ed urlargli addosso la nostra verità, a farlo muovere verso di noi.

Se invece noi avessimo uno sguardo più lungimirante, se imparassimo a vedere oltre l’apparente allora potremmo renderci conto che entrambi gli scalatori sanno di essere legati da una corda affrontando una scalata difficile, per cui nessuno si sta interessando solo agli “affari suoi”; nessuno sta cercando di “salvare solo se stesso”.

Con un po’ di lungimiranza ci accorgeremmo allora che l’altro non ci sta lasciando indietro, non ci sta buttando giù nel baratro, ma sta solo cercando di salvarci entrambi, ragionando a modo suo, con la sua testa, con le sue convinzioni, con il suo carattere, e soprattutto con ciò che vede dal suo lato.

Ma vuole comunque salvarci entrambi.

Vuole comunque avere cura di entrambi.

Se fossimo capaci di vedere con chiarezza questo, allora potremo saltare noi dal suo lato.

E, così facendo, salveremmo tutti e due.

E non si tratta di rinunciare ai propri bisogni o ai propri punti di vista, ma solo di capire che “il baratro della paura” mette i due scalatori in una urgenza: «prima togliamoci dal pericolo immediato, poi continuiamo la scalata».

Il baratro rappresenta il momento in cui qualcosa ha spaventato uno dei due, contagiando anche l’altro, e dunque c’è un “nodo relazionale” in atto: la paura sta prendendo il sopravvento nella relazione facendoci perdere la fiducia reciproca e facendoci avere paura l’uno dell’altro.

Il momento in cui scatta la paura nella relazione è come “un baratro” perché basterà pochissimo per ferirci a vicenda, per sentirci offesi, per sentirci trascurati e non amati, facendoci così cadere in quel buco di pensieri cupi che ci trascinerà dentro un violento conflitto fatto di vicendevoli accuse, rimproveri e recriminazioni. Si tratta davvero di una rovinosa caduta.

Superare il baratro significa affrontare un momento di nodo relazionale, un momento di paura.

Continuare la scalata significa lavorare per giungere a quella vetta in cui entrambi stanno bene, cioè dove i bisogni dell’uno e dell’altro sono soddisfatti.

È questo che significa “saper disinnescare”.

Capire che c’è momento e momento.

C’è il momento in cui difendere il proprio bisogno e il proprio punto di vista, cercando un modo creativo per conciliarli con quelli dell’altro.

E c’è un momento invece in cui insistere sul proprio bisogno, sul proprio modo di vedere le cose, sui propri diritti sta soltanto mettendoci in stallo, facendoci inesorabilmente scivolare entrambi verso il baratro.

Quando siamo sospesi su un baratro, con la corda tesa tra noi, prima superiamo il momento di grande pericolo, e solo dopo ricominciamo la scalata.

Cioè prima affrontiamo le paure, rassicurandole, e solo dopo ricominciamo ad occuparci dei bisogni.

Se tu hai paura che sto scappando, io potrei allora stare con te ancora un poco, toglierci dal baratro della tua paura, e poi andare dove dovevo andare.

Se tu soffri perché ti senti assediato, io potrei allora lasciarti per conto tuo ancora un poco, toglierci dal baratro della tua paura, e poi provare a riavvicinarmi a te.

Se tu ti senti trascurato, io potrei dedicarmi un momento a farti sentire importante, toglierci dal baratro della tua paura, e poi parlarti del mio desiderio della tua attenzione.

Se tu ti senti ferito, potrei per un poco dedicarmi ad ascoltare fino in fondo il tuo dolore e comprenderlo per poi, superato il baratro della tua paura, parlarti delle mie ferite e chiederti di comprenderle.

Se tu ti senti inascoltato in alcuni tuoi bisogni, io potrei impegnarmi per un poco ad ascoltarli e farti percepire dei miglioramenti, toglierci così dal baratro della tua paura, e poi chiederti se puoi venirmi incontro su ciò di cui sento il bisogno io. 

Se tu ti lamenti che non mi accorgo dei tuoi sforzi e fatiche, io potrei dedicarmi per un po’ a farti sentire la mia gratitudine e poi, superato il baratro della tua paura, aiutarti ad accorgerti di ciò che io faccio per te.

Se tu mi dici che mi senti poco affidabile io, invece di dire che sei tu invece che non sai affidarti, potrei cercare di farti sentire maggiormente che ci sono per te e che sono affidabile, e poi superato il baratro della paura, chiederti di fidarti di più di me, di darti di più, di lasciarti andare.

Per uscire dal baratro, ovvero da quel transitorio regno in cui governa la paura, non aiuterà cercare di fare ciò che ci sembra “la cosa giusta in assoluto”, ma bisognerà fare la “cosa giusta relazionale”. 

La “cosa giusta relazionale” è la cosa che ci toglie dalla paralisi e dallo stallo.

È quella cosa che, prima ci toglie dal baratro della paura, e poi si occuperà di risolvere i problemi.

Perché essendo legati dalla corda, pensare di muovermi come se fossi da solo, determinerebbe la mia condanna.

E la cosa giusta relazionale è, di solito, quello che l’altro ci chiede di fare e che noi giuriamo e spergiuriamo di aver fatto più che a sufficienza.

La verità è che se lo avessi fatto abbastanza, l’altro non me lo chiederebbe.

Quando la corda tra noi due è tesa cercherò di capire qual è la migliore mossa relazionale:

farò, meglio di come facevo, ciò che mi chiedi tu; andrò prima dove tu hai bisogno di andare.

Ed una volta fatto questo potremo riprendere la scalata insieme e scopriremo che, se io vengo da te, tu inizierai a fidarti davvero, e molto spesso sarai poi disposto a fare il tuo salto nel vuoto e venire, alla cieca, da me.

Siamo legati insieme, su un baratro, allacciati nello stesso destino.

Chi è capace di lasciare ciò che vede,

per abbracciare ciò che vede l’altro,

salva entrambi.

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Bruno

Foto di Brook Anderson su Unsplash

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