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O ti perdo, o mi perdo

Dentro le nostre relazioni importanti finiamo spesso in un lacerante stritolamento tra incudine e martello, che ci appare senza uscita.
Vorrei essere felice con te.
E questo significa che vorrei anche che tu sia felice con me.
All’inizio, se il nostro incontro è stato fortunato, ciò sembra realizzarsi e la felicità di entrambi sembra crescere, man mano che riusciamo a stare più vicini e farci più doni.
Ma ad un certo punto accade qualcosa: aumentare la nostra vicinanza e i nostri scambi non sta più portando un aumento di felicità, ma anzi, aumentano le difficoltà, le incomprensioni, la stanchezza, la frustrazione.
Iniziamo ad entrare in infiniti dilemmi:
a volte per far felice te, mi accorgo che dovrei fare cose che non vorrei fare;
a volte per essere felice io, avrei bisogno di cose che tu non mi vuoi dare.
A volte sento che dovrei venirti incontro, altrimenti starai male, altrimenti rischio di perderti.
Ma poi mi chiedo se allora ti sto assecondando solo per paura o per interesse:
faccio ciò che tu vorresti per amore, per generosità? Oppure ti assecondo per manipolarti, per compiacerti, per legarti a me, per acquisire un credito da poter riscuotere un domani?
E sarà poi giusto rinunciare a me, a ciò che sento, a ciò che spontaneamente voglio o non voglio, per fare felice te?
A volte dentro un rapporto d’amore ho la sensazione che sto tradendo te, la mia interna promessa di farti felice; a volte sento che sto tradendo me, la responsabilità che ho nei miei confronti di farmi felice.
A volte ho la sensazione di essere dentro un dilemma insolubile: o ti perdo, o mi perdo.
Ed entrambe le cose le sento devastanti.
O resto fedele a me, a ciò che sento di fare o non fare, ma così finirò facilmente per perderti; oppure resto fedele all’amore che provo per te, cercando di farti felice come tu vuoi, ma così rischierò di perdere me, la mia natura, la mia identità.
Dentro a tutti questi dilemmi ed al dolore di una vicinanza che non ci fa più felici, spesso iniziamo a pensare che forse il problema è nell’altra persona, oppure in noi, oppure nell’incompatibilità dell’incastro.
Invece il problema più grande, da cui si genera tutto, è nei PARADOSSI DI RELAZIONE.
Dentro la relazione ci sono dei “paradossi matrice”, che di solito ci risultano completamente invisibili. Per “paradossi matrice” intendo dei paradossi sistemici di base, che poi generano tantissime contraddizioni e blocchi e difficoltà successivi.
Tutti i sentimenti in noi relativi al dubbio se sia giusto andare incontro all’altro, ed in quale misura, quando questo significa sacrificare delle parti di se stessi, nasce dal “paradosso matrice” del conflitto tra bisogni ego-centrati e bisogni etero-centrati.
Quando io sono interessato ad avere vicino una persona, mi ritrovo improvvisamente infilato in una duplice esigenza: ti vorrei VICINO perché vorrei da te delle cose per me (bisogni ego-centrati);
ma nello stesso tempo ti vorrei SODDISFATTO dello starmi vicino, perché questo significherebbe che hai buone ragioni per continuare a starci ed essere disponibile nei miei confronti (questo è sempre un bisogno mio, ma etero-centrato: per far felice me, devo concentrarmi su cose che servono a te).
Insomma in una relazione io ho bisogno di far felice me, ma anche di far felice te in modo che tu possa poi far felice me.
Sono due bisogni fondati entrambi su un sano egoismo biologico, nulla da condannare, ma sarebbe erroneo considerare il bisogno etero-centrato come una forma di altruismo.
È semplicemente una necessità pratica: se mi rapportassi ad un frutto, non avrei bisogno di far felice il frutto.
È un bisogno ego-centrato: per far felice me, nutrendomi di lui, mi sarebbe sufficiente mangiarlo.
Un sano e legittimo egoismo biologico.
Già se mi stessi rapportando non al frutto ma al seme, le cose cambierebbero.
Ecco che io sarei in una duplice esigenza: per mangiare il frutto (bisogno ego-centrato) dovrei prima occuparmi del seme (bisogno etero-centrato). Il bisogno è sempre mio, ma uno dei due è più lungimirante: se voglio mangiare, prima devo coltivare.
Quando mi rapporto ad un sistema organico, vitale e mobile come un gatto, per esempio, tutti i tempi si velocizzano: ecco che se io ho il bisogno ego-centrato di fargli le carezze (che mi rilassano), dovrò trattarlo in un modo che lui abbia voglia di avvicinarsi a me e riceverle.
Avere bisogno di qualcosa da ricevere da un sistema biologico emozionale, significa essere sempre nella duplice esigenza di “far felice l’altro, per far felice me”.
A volte questo è possibile senza grandi problemi: se il nostro bisogno è in sintonia con il bisogno dell’altro, la sincronizzazione è spontanea.
Sono quei momenti in cui, con una fava, prendiamo due piccioni.
Per esempio tu hai voglia di baciarmi (tuo bisogno egocentrato) ed io ho voglia di baciarti (mio bisogno ego-centrato) e, per fortuna questi due bisogni sono in quel momento in una situazione convergente. Sono compatibili.
Oppure potrebbe essere che io sono nel bisogno etero-centrato di volerti accudire, preparandoti la cena, e tu sei nel bisogno ego-centrato di essere accudito, mangiandola.
Anche in questo caso avremmo un incastro compatibile di bisogni di tipo complementare: un mio bisogno etero-centrato (nutrire l’altro) si accorda con il tuo bisogno ego-centrato (essere nutriti).
Ma purtroppo dentro una relazione in moltissimi momenti i nostri bisogni sono divergenti, cioè non è possibile soddisfarli entrambi nello stesso momento.
Per esempio io voglio andare al mare con te, mentre tu vuoi andare in montagna con me.
Questa evenienza mette in conflitto il mio bisogno egocentrato di far felice me andando al mare, con IL MIO bisogno etero-centrato di far felice te, andando in montagna.
È interessante vedere come a volte anche un bisogno etero-centrato può produrre dolore e conflitti.
Può capitare infatti che una mamma senta il bisogno di nutrire un figlio adulto (etero-centrata) e il figlio adulto senta il bisogno di nutrire la mamma anziana (bisogno etero-centrato), e finiscano per litigare per chi cucina, sentendosi lei trattata da vecchia (o sentendosi “scippata” del suo diritto di “fare la mamma”) e lui sentendosi trattato sempre da “figlio” e mai da persona che possa accudirne un’altra che ne ha bisogno.
In questo caso siamo di fronte a due bisogni divergenti (incompatibili nello stesso momento) anche se uguali e rivolti verso l’altro.
Questa è la prima matrice da cui derivano tutti i dubbi di relazione in cui spesso ci ritroviamo tutti.
A volte ci percepiamo remissivi, troppo compiacenti, troppo nel sacrificio di noi stessi, troppo succubi dei bisogni dell’altro.
Altre volte abbiamo paura di essere egoisti, di non riuscire a percepire le esigenze dell’altro, di essere “deboli” e troppo permissivi nei confronti di noi stessi, dei nostri egoismi, dei nostri difetti, delle nostre pigrizie.
Insomma tutti finiamo spesso nel dubbio: ma chi dobbiamo assecondare, l’altro o noi stessi?
Ebbene bisogna trovare il modo (creativo) di dare in contemporanea risposta ai bisogni di entrambi.
Solo che spesso, per via delle nostre diversità, il bisogno mio ed il tuo entrano in posizione avversativa (tu vuoi fare l’amore ora, io ora vorrei dormire).
La posizione avversativa non viene letta dalle parti come un fisiologico momento di contrapposizione tra due bisogni legittimi.
Se lo facessimo potremmo cercare delle soluzioni creative, o compensative, per cercare di conciliare i doppi bisogni di entrambi (perché infatti entrambi vorrebbero fare sia la cosa che fa felice loro stessi – uno dormire, l’altro fare l’amore – ma vorrebbero anche che l’altro non ne esca scontento).
Invece non riusciamo a indirizzarci verso una gestione creativa del conflitto paradossale che si è creato e finiamo così in una gestione basata sull’esercitare una pressione, o sul cedere ad una pressione (incastro assertivo-remissivo).
Cioè non andiamo verso una soluzione Win-Win; ma ci accontentiamo di una soluzione Win-Lose. E da qui in poi inizia una catena di conseguenze disastrose che ci porta passo passo ad essere entrambi arrabbiati con l’altro e convinti di essere la sua vittima.
Mentre invece siamo entrambi vittima delle circostanze e dei paradossi di relazione.
L’ignorare i paradossi di relazione ci condanna a percepirci la causa reciproca delle sofferenze che viviamo dentro ad una vicinanza affettiva.
Imparare a vederli può riportarci ad una alleanza volta ad affrontare insieme, in sinergia, il vero grande “nemico” della nostra felicità relazionale: la complessità.
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Image by Steve Halama on unsplash

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