Amare un figlio consiste in:
Onorare il suo Insondabile Viaggio.
Ovunque lo porti, anche agli antipodi di noi stessi.
Provare amore per lui, anche mentre disconosce i nostri più radicati valori, ideali, pensieri.
Anche mentre sembra cacciarsi nell’inferno.
Anche mentre sembra correre verso lo schianto.
Non sto dicendo di “lasciarlo fare”, di “non mettere mai bocca”, di “non mettere mai mano”.
Inevitabilmente avrà bisogno di un nostro agire al posto suo, di un nostro supervisionare le sue azioni, un nostro correggergli le direzioni, finché non avrà raggiunto la maturazione delle sue facoltà.
Ma la prima cosa da tenere a mente è che ogni giorno che passa una qualche nostra azione legittima in cui ci sostituiamo a lui, sta diventando illegittima. Ogni giorno che passa.
Fino a ieri ti aiutavo ad alzarti da terra, oggi invece vuoi farlo da solo.
Oggi devo permetterti di farlo da solo!
Oggi devo consentire il tuo metterci un tempo interminabile e innumerevoli tentativi falliti.
Ieri andava bene essere io ad alzarti ma oggi, se ti alzo io, ti sto aggredendo, ti sto invadendo, ti sto rubando a te stesso, alla vita, alla tua evoluzione.
Fino a ieri ti toglievo le forbici di mano, oggi invece è il giorno che mentre tu istintivamente vai a prenderle ed io automaticamente mi muovo per allontanartele, devo invece fermarmi.
Devo riconoscere che oggi no, oggi è il giorno di fartele prendere. Starti vicino mentre le usi, ma fartele prendere.
E domani sarà il giorno in cui anche “controllarti mentre le usi” sarà diventata un’invadenza, un segno di sfiducia, un attacco alla formazione del tuo senso di sicurezza in te.
Arriverà il giorno in cui dovrai stare da solo con quelle forbici e dovrai tagliarti.
Ed io, senza alcun segno di disappunto, verrò a curarti la ferita:
«Succede, non è niente di grave, è solo il nostro normale viaggio nel mondo».
Fino a ieri decidevo io il tempo in cui potevi stare sullo smartphone. Oggi è arrivato il momento che lo decidi tu per te, come io lo decido per me.
Ogni giorno che passa toglierci un po’ dalla sua vita… dall’ingerenza nella sua anima;
dall’obbligarlo alle nostre idee di sicurezza;
dal metterci tra lui e il mondo;
tra lui e la formazione della sua libera e unica identità;
tra lui e il suo viaggio.
E il giorno in cui non sarà più giusto mettere “mettere bocca” e “mettere mano” sulla stragrande maggioranza delle sue traiettorie, arriverà molto presto.
Molto prima di quanto siamo abituati a pensare.
Molto prima di quanto vorremmo.
Molto prima del nostro esserne pronti.
E purtroppo è proprio lì, che iniziamo a perdere i nostri adolescenti.
Loro provano a fare il loro viaggio.
A tentoni.
Cadendo e rialzandosi.
Sbagliando.
Seguendo luccichii ingannevoli.
Innamorandosi di cose sensate e di cose insensate, e poi disinnamorandosi e poi innamorandosi ancora.
Tentano il loro viaggio allo stesso modo in cui noi abbiamo tentato il nostro.
E ogni nostra ingerenza si abbatte su di loro come una terribile violenza.
Sì… alcune ingerenze non ci sentiremo proprio di non farle…
È più forte di noi.
Alcune, forse, saranno anche più che giuste.
Ma comunque ricordiamoci che sono ingerenze, limitiamole al minimo necessario, facciamole dicendo “mi dispiace per il tuo legittimo dolore”.
Scegliamo con molta attenzione quali “guerre combattere”.
Se vale o no la pena dire: “Hai fatto colazione? Hai preparato la tua valigia? Ricordati di prendere l’impermeabile!»
Ogni frase in cui noi ci sostituiamo a loro è una coltellata che gli si infila nel fianco.
Ogni ingerenza nelle loro traiettorie ha lo stesso effetto, nella loro anima, di un’automobile che si schianta su un muro.
Se proprio dobbiamo sostituirci al loro volere, al loro desiderare, al loro scegliere, al loro autodisciplinarsi… bè… facciamolo con molta consapevolezza e molta attenzione.
Non per automatismo, per schemi educativi prima subiti e poi replicati, per reattività emotive, per paure, per bisogno di controllo.
E quando proprio non riusciamo ad esimerci dal farlo, se proprio sentiamo che su una certa cosa la traiettoria che noi vogliamo per loro è meglio di quella che loro vogliono per loro (chissà poi su cosa fondiamo questa nostra certezza…), allora va bene, ingeriamo nel loro spazio, costringiamoli alle nostre azioni, ma almeno non calpestiamo il loro legittimo sentire.
Si opporranno.
Sì!!!
È normale ed è giusto!
Sul loro viso apparirà una smorfia di insofferenza… Certo!
Stanno cercando di difendere il diritto a essere loro stessi, il diritto a CREARE loro stessi, il diritto a tracciare il loro proprio cammino.
«Ma a volte sbagliano ciò che vedono!! E noi genitori abbiamo la responsabilità, l’obbligo, di proteggerli da loro stessi!!!»
Forse sì.
Forse sì, a volte.
Ma loro, al loro sguardo, ci credono e hanno il diritto di credergli.
Anche quando è uno sguardo fallace.
E dunque hanno il diritto di non credere alle nostre imposizioni in nome della loro salvezza.
Sì, noi a volte abbiamo il diritto, l’onere e la responsabilità di imporre loro un “sia fatta la mia volontà e non la tua”.
Ma loro hanno tutto il diritto di soffrire terribilmente di questo e di non essere d’accordo.
Ma noi questo non lo capiamo e dunque siamo nella pretesa sia di costringerli al nostro sistema di credenze, sia che loro “capiscano” e lo facciano senza ribollire dentro, senza arrabbiarsi, senza odiarci, senza fare eccessive resistenze.
E a quel punto ci arrabbiamo noi. Ci sentiamo incompresi noi. Ci sentiamo “traditi” e non amati.
Se proprio alle volte la vita ci costringe, per tenere fede alla nostra responsabilità di genitori, di violentarli con l’imporre loro le nostre forme… Bè, allora almeno facciamolo senza mai smettere di stimarli, apprezzarli, rispettarli nella loro diversità da noi.
Violentiamoli per salvarli, se proprio siamo certi che sia necessario, ma facciamolo senza mai dimenticarci che loro hanno tutto il diritto di sentirsi feriti e che è a noi che tocca il compito di continuare a tenere aperta la nostra anima e l’abbraccio del nostro cuore, anche mentre a loro, inevitabilmente, si chiude.
Questo sarà il percorso:
Noi li violentiamo per salvarli, loro ci odieranno in quell’istante, noi continuiamo ad amarli senza giudicarli o sentirci offesi per quell’odio e, dopo il tempo giusto, se davvero ciò che abbiamo fatto li stava salvando, ecco che loro, prima o poi, se ne accorgeranno… E torneranno ad amarci.
Ma noi dobbiamo rimanere in apertura e amore, mentre loro passeranno inevitabilmente nella chiusura e nell’odio.
Pensiamo che lo stiamo già facendo?
Forse…
Massima stima per chi davvero lo sta facendo.
Io, se sono sincero con me stesso, capisco che mille volte al giorno casco nell’innervosirmi per ciò che loro fanno, dicono, esprimono, scelgono… per ciò che loro sono.
Io mi innervosisco per ciò che loro sono!!!
E loro lo sentono.
E ogni minima vibrazione del mio nervoso, del mio fastidio, del mio disappunto per qualcosa che riguarda loro è, per loro, una terribile coltellata nel cuore.
Ogni correzione del loro dire o del loro pensare.
Ogni correzione del loro libero stare, muoversi, posizionarsi.
Ogni correzione del loro spontaneo guardare.
Ogni correzione è una coltellata nel loro cuore.
Dovrò correggerli, va bene.
È parte di ciò che la vita impone ad un genitore.
Ma se farlo, quando farlo, come farlo, quanto farlo… sta a me.
Se saprò farlo davvero il minimo che basta, con tutta la gentilezza possibile e senza l’ombra di un giudizio, allora forse questo mio correggerli creerà una magica sinergia…
E noi due, insieme, saremo più di uno.
Se lo farò male, ci sarà semplicemente il mio io che, per sentirsi a posto, per sentirsi al sicuro, avrà prevaricato il tuo e saremo in guerra.
A volte tacita, a volte invisibile, ma in guerra.
Nessuna alleanza.
Nessun “io e te, uniti, per affrontare meglio il mondo”.
Solo il potere e la resistenza; le imposizioni e le trasgressioni; le regole e gli inganni; le punizioni, le recriminazioni, lo scontro.
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L’insondabile viaggio
