Tutto passa dal senso di ingiustizia.
Per stare bene abbiamo bisogno che le cose ci vadano bene.
E noi facciamo di tutto per cercare di far andare bene le cose.
Ma spesso le cose ci vanno male.
Quando le cose vanno male proviamo paura e soffriamo.
Come un cane.
Fin qui le cose non sarebbero troppo brutte.
Perché le cose a volte vanno male, ma poi tornano anche ad andare bene.
Le cose vanno male semplicemente perché il flusso della realtà è complesso e non sempre può avere cura di noi.
Ma questo ha un risvolto positivo: il flusso della realtà è un flusso, appunto, e quindi molto velocemente cambia e così come “non ce l’ha con noi” quando di abbatte su di noi, allo stesso modo è veloce a spostare le sue “spine”, perché non ha alcun interesse ad accanirsi su di noi.
C’è un altro aspetto positivo: noi abbiamo un grande potere di azione sulla realtà, e dunque, dandoci da fare, riusciamo sia a diminuire le situazioni in cui il “flusso del reale si abbatte su di noi”, sia velocizziamo i tempi di uscita dalla difficoltà e dal dolore quando il reale ci sta “ferendo con le sue spine”.
Dunque quando le cose vanno male proviamo paura e soffriamo “come un cane”, ma poi abbiamo alcune risorse più di lui per uscirne.
Se le cose fossero solo così la nostra vita non sarebbe così male: a volte dovremo subire “i dardi dell’oltraggiosa fortuna”, ma spesso riusciremo a minimizzarli e, in qualche modo, farne tesoro. Inoltre staremo male solo quando non c’è proprio modo di non stare male, e solo il minimo inevitabile, tornando subito dopo a stare bene.
Ma purtroppo nell’uomo c’è anche il senso di ingiustizia e tutto inizia ad andare a rotoli.
Erroneamente pensiamo che “il senso di ingiustizia” sia ciò che differenzia un codardo passivo, da un coraggioso ribelle che lotta per principi nobili.
In alcuni rarissimi casi può anche essere così. Quei casi in cui esiste un’oppressione e una tirannide che può essere combattuta solo facendo affidamento su cuori eroici che mettono in secondo piano la sopravvivenza individuale, disposti a soffrire, perdere tutto e morire, per l’affermazione di principi di “bene universale” dei cui vantaggi poi non potranno probabilmente usufruire.
Quando il senso di ingiustizia è messo al servizio di qualcosa più grande di noi e ci spinge a mettere da parte il nostro vantaggio individuale al servizio di un “greater good”, è sicuramente qualcosa di nobile e meritevole.
Ma pensiamoci bene… nella nostra vita quotidiana noi siamo perennemente in un conflitto di interessi:
ci appelliamo continuamente “all’ingiustizia di qualcosa” per difendere i nostri bisogni, e non perchè «disposti a rischiare i nostri, siamo pronti eroicamente a difendere quelli di altri».
Il senso di ingiustizia che emerge in noi di continuo non è il ringhio coraggioso dell’eroe al servizio del “bene nel mondo”, ma è piuttosto il pianto straziante di un bambino a cui si è rotto il giocattolo a cui teneva così tanto.
Ci piacerebbe pensare che ciò che ci rende più complessi di un cane serva a renderci naviganti, poeti ed eroi, ed in parte è così, ma di fronte alle frustrazioni e ai dolori che ci porta la vita, l’unica cosa che spesso riusciamo a fare è usare la nostra immaginazione per dire: non sarebbe dovuto andare così.
“Non sarebbe dovuto andare così” è una frase che, all’interno delle logiche del reale, non ha alcun senso.
Nel reale una cosa non è mai “giusta” o “ingiusta”.
Nel reale una cosa semplicemente “È”, oppure “Non È”.
I cani questo lo sanno.
Noi ce lo dimentichiamo.
E questo ci porta spesso a soffrire molto più che “come un cane”.
Quando usiamo la parte speciale di noi per esplorare il mondo immateriale che si muove “sopra” al mondo del “reale”, allora facciamo cose straordinarie che i cani, per ora, non sanno fare: creiamo poesia, arte, bellezza, senso, valori.
Ma quando imprudentemente e ingenuamente cerchiamo di usare la nostra immaginazione per “affrancarci dalle costrizioni della condizione umana”, cioè quando pretendiamo che le cose siano come vorremmo, invece che come sono, allora cadiamo miseramente nel baratro del vittimismo e della rabbia. Non ce ne accorgiamo ma siamo rimasti imprigionati nel “mondo magico infantile”, quello in cui in cui Babbo Natale ci porta i doni, se siamo stati buoni.
Nella nostra vita quotidiana il vero boia che ci tortura è il nostro “senso di ingiustizia” che continuamente ci sussurra all’orecchio: «non è giusto che questa cosa sia così, non è giusto che IO sia così, non è giusto che TU sia così».
Quando sentiamo un profondo senso di ingiustizia che ci rode le viscere, per salvarci pensiamo di dover iniziare guerre contro gli “oppressori”.
Ma è un pensiero erroneo che ci condannerà.
Perché il più delle volte non c’è alcun oppressore, c’è solo la realtà che fa il suo corso.
Di fronte alle spine che la realtà ci porta, che sia la realtà del mondo o la realtà di me o di te, io posso e devo fare molto.
Potrò capire, potrò creare, potrò dialogare, potrò cercare di cambiare… Alcune volte dovrò anche essere pronto a fare cose più semplici e “forti” e quindi dovrò forse scappare o abbaiare o mordere o lottare: come un cane.
Ma in nessun caso “lottare contro le spine” avrà bisogno di un “senso di ingiustizia”.
Io posso lottare fortissimo, senza bisogno di senso di ingiustizia.
Può essere il mio “senso del dolore” a motivare e sostenere la mia lotta.
Ma il “senso di ingiustizia” non mi aiuterà in alcun modo ad uscire dalle spine, al contrario: mi ci farà sprofondare dentro.
Perchè attorno a me, a creare quella realtà che mi sta facendo male, ci sono dei cuori.
E dentro di me, mentre sto lottando per salvarmi da quella realtà che mi sta facendo male, c’è il mio cuore.
Il “senso di ingiustizia” non aiuterà la mia interazione con questi cuori e con il mio cuore.
Il mio senso di ingiustizia fa invece due cose assolutamente deleterie:
- si trasforma in rabbia dentro di me producendomi una sofferenza autodistruttiva, evitabile ed inutile che mi consuma da dentro;
- aggredisce i cuori che mi stanno intorno accusandoli di “non essere giusti” di essere cattivi, ignobili e colpevoli e scatenando tutte le loro reazioni di difesa che renderanno incredibilmente più difficile affrontare le spine che ci stanno reciprocamente dilaniando.
Tutto passa dal nostro senso di ingiustizia.
Spesso non è affatto il nobile sentimento dell’eroe pronto a sacrificarsi per il bene altrui, ma è solo l’urlo disperato di un bambino che non riesce a sopportare l’idea che la vita sia così dolorosa e così disattenta verso i suoi bisogni.
Questo senso di ingiustizia non va assecondato, non va imbracciato per combattere fuori, ma va combattuto dentro.
“Combattuto” con amore: accolto, abbracciato e poi fatto scorrere via, come un grumo di sale sciolto dalle lacrime.
Ma “combattuto” nel senso di usare tutte le nostre forze per non permettergli di rimanere lì a distruggere le nostre vite e le nostre relazioni.
La nostra felicità passa dalla nostra capacità di contrastare dentro di noi questo tipo di “senso di ingiustizia”.
Un senso di ingiustizia che alimenta solo il nostro vittimismo, la nostra rabbia e la nostra cecità nei confronti del reale.
Non ci aiuta ad essere più efficaci nel salvarci dalle spine, ma ci fa sprofondare nella violenza, nell’amarezza e nella lamentela, allontanandoci sempre di più dall’amore.
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Bruno
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