Analisi dell’Interazione

INTRODUZIONE

Esiste una possibilità, dentro le nostre interazioni affettive, di guardare in modo imparziale?
Qualcosa che possa aiutarci a capire in modo affidabile, di volta in volta, quale via sia più giusto seguire?

Su quale base, normalmente, decidiamo come muoverci?
Tendenzialmente cerchiamo di individuare cosa sia meglio fare.
Ma “meglio” rispetto a cosa?
Il primo problema chiaramente visibile nelle interazioni umane è che noi dobbiamo trovare un equilibrio tra i nostri bisogni e la salvaguardia della relazione, perché noi abbiamo la necessità sia di salvaguardare noi stessi, che di salvaguardare quel rapporto.
Ma salvaguardare quel rapporto implica che anche i bisogni dell’altro siano soddisfatti.
Quindi in una relazione ognuno di noi ha la necessità di:

tener conto sia dei propri bisogni che dei bisogni dell’altro.

Ma infinite volte i nostri bisogni e i bisogni dell’altro entrano in conflitto e contrapposizione.

A questo punto sorge il problema del punto di vista soggettivo.

Probabilmente il punto di vista soggettivo non costituisce un problema finché si tratta di concordare, dentro una relazione affettiva, che il “meglio” sia ciò che tiene conto dei bisogni di entrambi. Entrambe le soggettività potranno essere facilmente d’accordo.

Ma allora dove la soggettività può diventare un problema?

Nel momento in cui il loro differente punto di vista soggettivo potrebbe portare a due conclusioni diverse su quale sia la forma di quel “meglio”:
per uno la “soluzione più giusta per entrambi” è una;
per l’altro la “soluzione più giusta per entrambi” è un’altra.
Cioè sono in accordo su quale sia il fine (star bene entrambi), ma in disaccordo su quale sia il modo di raggiungerlo.

Naturalmente non si tratta del fatto che uno abbia ragione su tutto e l’altro torto su tutto. Ma comunque, su singoli aspetti di un problema, forse esiste una posizione effettivamente migliore di un’altra per perseguire quello scopo comune di “essere felici entrambi”. Siamo abituati a pensare che “la ragione non può essere da una sola parte” e probabilmente è una riflessione corretta. Ma questo non può voler dire che ogni volta, su ogni singola cosa, “la ragione sia nel mezzo“. Se circoscriviamo lo sguardo su un singolo aspetto, è molto probabile che tra due visioni una X e una Y, una delle due (in una determinata situazione specifica e ben delimitata) sia effettivamente MIGLIORE dell’altra.
In una relazione per esempio potrebbe capitare che due soggettività possano trovarsi l’una a dire: «Non devi fare così, smettila!»
E l’altra rispondere: «No, non smetto perché è giusto che io lo faccia!»
Chi dei due ha ragione?
Difficile dirlo.
Ma forse è vero che a volte uno dei due “ha più ragione dell’altro”, anche se entrambi sono sicurissimi nella stessa misura di avere ragione.
Ma il punto è:
Chi ha torto, chiuso di volta in volta dentro il proprio punto di vista soggettivo, se ne accorgerà?
Purtroppo non è per niente facile e sicuramente nè scontato, né certo.
E questo, ad essere onesti, vuole dire che:

io,
quando avrò torto,
probabilmente non me ne accorgerò.

Ma allora, se io, dentro le mie relazioni più care, potrei facilmente trovarmi senza rendermene conto a difendere con le unghie e con i denti qualcosa in cui sono nel torto: che speranza potrò mai avere di creare rappori felici?

Sarebbe utilissimo un riferimento “super-soggettivo“.
Qualcosa che possa far dire al soggetto stesso: «questa volta nonostante mi sembri di avere ragione, forse invece sto vedendo male».
Cioè servirebbe qualcosa che mi “tiri fuori dal buco delle faziosità del mio sguardo soggettivo”, per permettere di volta in volta di poter dire a me:
«sì, questa volta ho ragione, quindi è bene che io mantenga questa posizione»;
Oppure dirmi: «no, qui forse dovrei cambiare posizione, dovrei ascoltare meglio la proposta dell’altro, perché la mia posizione non sta vedendo qualcosa di importante e dunque quello che sto difendendo non è ciò che ora è meglio per me fare, perché il mio bisogno non è solo quello di salvaguardare me, ma anche di salvaguardare la relazione».
Insomma sarebbe prezioso avere uno strumento “pulito dalle distorsioni del proprio sguardo soggettivo”.
Un modo di guardare che possa “aiutare me, a valutare me, mentre sto con te” in modo affidabile, cioè non inficiato dai miei stessi errori.

La Relazione Amorevole ha ideato la metodologia di Analisi dell’Interazione proprio per esplorare questa possibilità e intraprendere una ricerca verso questo tipo di speranza:

trovare strumenti super-soggettivi,
che il soggetto possa usare
per creare un miglior dialogo inter-soggettivo.

METODOLOGIE

Trattandosi di una ricerca innovativa, anche le metodologie sono tutte da esplorare e inventare. Ma c’è una prima metodologia emersa che ha dimostrato già una notevole efficacia e potenzialità, quella che chiamo: Analisi dei Diverbi di Interazione.

Si tratta di “fotografare” alcune situazioni concrete di Interazione Umana, grazie all’uso di frammenti di dialogo tra due persone.
Ecco alcuni piccoli esempi di Diverbi di Interazione:

Tra fratelli
A: «Se posso darti un consiglio, forse stai bevendo troppo».
B: «Non mi scocciare!».

Tra marito e moglie
A: «Hai portato fuori la spazzatura?»
B: «No, perché avrei dovuto farlo io?»
A: «perchè io ho lavato i piatti!».

Tra due amici
A: Secondo me non è il caso che lo compri, il prezzo è troppo alto e poi non credo che non ti sarà così utile.
B: Bè, ma mi serve per il mio lavoro e credo che sia una buona occasione, poi comunque non costa troppo e i soldi ce li ho.
A: Sì, certo, i soldi ce li hai ma non è mica una buona ragione per buttarli via.
B: Ma perché dici così? Saprò io se li sto buttando o no, non credi?

L’analisi dei Diverbi di Interazione utilizza frammenti di discorso tipo questi qui sopra, per trarne considerazioni super-soggettive che possano suggerire sia ad A, che a B, cosa sia migliore e cosa peggiore, relativamente a ciò che stanno facendo in quella interazione.

A questo link è possibile avere ulteriori spiegazioni più approfondite sulla metodologia dei Diverbi di Interazione.

OSSERVAZIONE VS INTERPRETAZIONE

Il punto cruciale di tutto il discorso verte sul verificare se esista una possibilità di sguardo imparziale sulle interazioni umane nonostante i vissuti relazionali siano, inevitabilmente, estremamente soggettivi.

Ciò potrebbe essere possibile se si riuscisse ad assumere uno sguardo “de-localizzato“. Con il termine de-localizzato intendo uno sguardo in cui l’io non si pone nel luogo dell’io ma diventa capace di uscire e rientrare dal punto di prospettiva dell’io a seconda di ciò che, di volta in volta, sia utile osservare in modo imparziale. Si tratta insomma di imparare a guardare “dall’esterno” una relazione Io – Tu, senza “localizzare il proprio sè dentro l’io”, cioè senza identificarsi con l’io. Oppure diventando capaci, cosa altrettanto efficace, di sapersi identificare in momenti separati sia con la posizione in cui è l’io, sia in quella in cui è il tu.

Non è per nulla facile riuscirci e il tema della de-localizzazione dello sguardo è connesso al problema già ben noto della differenza tra osservazione e interpretazione. Al link qui sotto è possibile approfondire in quale modo si possa, utilizzando lo strumento dei Diverbi di Interazione, passare da uno sguardo schierato con l’io, ad uno sguardo imparziale.
De-localizzazione dello sguardo.

DISCERNIMENTI

Il lavorio di de-localizzazione dello sguardo e di “astrazione processuale” può permettere l’emersione di discernimenti.

Per spiegare con un esempio in cosa consistano i discernimenti immaginiamo che un apprendista falegname, che deve piantare una vite, vada a cercare l’attrezzo giusto. È capace di riconoscere la differenza tra un chiodo e una vite, e tra un giravite e un martello? È una competenza da acquisire. Un bambino piccolo non saprebbe discernere il chiodo dalla vite, né saprebbe abbinare l’attrezzo giusto. Anche se a noi ora sembra ovvio, c’è stato però un momento in cui il nostro cervello ha imparato a distinguere la differenza e ad abbinarli correttamente. Ha imparato che non c’è uno strumento che è “sempre giusto”, ma che con la vite va usato il giravite e con il chiodo il martello.
Fare discernimenti significa osservare con precisione le differenze.
Essere capaci di dire: ci sono chiodi di tantissime dimensioni e forme e anche viti, ma come posso differenziare per certo gli uni dalle altre?
Il chiodo ha un asse centrale liscio, la vite ha un’asse centrale caratterizzato da una scanalatura a elica.
Ecco, questo è un’osservazione super-soggettiva sufficientemente affidabile: un discernimento.

Allo stesso modo nell’analisi dell’interazione posso fare questo discernimento:
Tra due amici
A: Ma che fai?! Metti il parmigiano sulla tua carbonara?! Non esiste proprio, ci devi mettere il pecorino!!!
B: Sì, ci metto il parmigiano, perchè il pecorino ha un sapore troppo forte per me.

Analisi:
A rimprovera B ingiungendogli di fare una cosa seguendo il sistema di valori appartenente ad A.
B: conferma l’intenzione di fare una cosa per se stesso in conformità al proprio sistema di valori.
Poi potremmo renderci conto che cose simili accadono spesso e trovare dei nomi per i nostri “chiodi e giraviti”.
Per esempio potremmo dire: dentro una interazione possono verificarsi due diverse azioni la “modellazione” e “l’autodeterminazione”.

Si tratta di modellazione quando X vuole che Y faccia qualcosa in conformità ai convincimenti di X.
Si tratta di autodeterminazione quando X esprime l’intenzione di fare qualcosa per sé, seguendo i suoi propri valori.

Oppure detto in modo ancora più astratto:
È autodeterminazione quando l’emittente del modello e il ricevente del modello sono la stessa persona.
È modellazione quando l’emittente del modello e il ricevente del modello sono due persone diverse.

Moltiplicando questi discernimenti è possibile arrivare ad orientarsi nella intricata foresta della complessità e relazionale e dell’infinità moltplicità di differenti situazioni, scoprendo quali sono alcune azioni disfunzionali ricorrenti e quali potrebbero essere invece alcune Buone Pratiche da mettere in campo sistematicamente.