De-localizzazione dello sguardo
Uso la definizione “De-localizzazione dello sguardo” quando un “io” riesce a guardare un’interazione in cui è coinvolto senza identificarsi solo nel proprio punto di prospettiva, ma riuscendo a integrare oltre alla prospettiva dell’io, anche un identificarsi con la prospettiva del Tu, e anche un’osservazione con una prospettiva distaccata rispetto ad entrambi.
Identificazione e dis-identificazione
Il meccanismo fondamentale su cui si basa la narrazione di storie che, prima in forma orale e poi scritta, è stata ed è tutt’ora uno dei fondamenti della società umana, è il processo di identificazione nei personaggi. Ovvero ascoltiamo una storia che riguarda altri partecipando emotivamente come se riguardasse in qualche modo e misura noi stessi. Questo però produce quasi inevitabilmente anche un effetto collaterale molto potente: schierarsi.
Il nostro modo di ascoltare storie tende spontaneamente a interpretare ogni personaggio o come parte del “cerchio interno” del protagonista (l’io/noi), o come parte del “cerchio esterno” dell’antagonista (il tu/voi/loro).
La difficoltà di uno sguardo “obiettivo” è proprio creata dal fatto che costitutivamente lo sguardo umano è uno sguardo soggettivo, ovvero imprescindibilmente ammanettato ad un “punto di vista”.
Potremmo immaginarci un duello girato da Sergio Leone, dove a cinquanta metri uno di fronte all’altro, nel mezzo di una strada, due personaggi si scrutano in attesa.
Se questi due personaggi fossero del tutto a noi estranei, noi li vedremmo con una ripresa in perpendicolare, “a volo d’uccello”, potendo distinguere dai cappelli a falde larghe i due pistoleri, uno a destra e l’altro a sinistra dello schermo, perfettamente equidistanti.
Ma se uno dei due personaggi fossi io, o qualcuno con cui ho avuto il modo e il tempo di identificarmi, eccomi improvvisamente ed ineludibilmente calato in una inquadratura soggettiva dove, con la telecamera a livello occhi, vedo laggiù di fronte a me l’antagonista, che mi sta scrutando.
Siamo condannati a sguardi “localizzati”. Cioè sguardi che non possono prescindere dal luogo da cui partono, ovvero il soggetto, cioè noi stessi.
Dovremmo allenarci a sguardi de-localizzati, ovvero a guardare la scena, anche quando uno dei due duellanti sono io, dal cielo, a partire da un punto perpendicolare equidistante dai due personaggi del film. Oppure anche diventare capaci di quello che nel cinema viene chiamato “controcampo”, cioè dopo aver guardato attraverso la soggettiva dell’io, guardare attraverso la soggettiva del tu.
Questo approccio ci è enormemente difficile, ma essendo anche enormemente prezioso e salvifico, andrebbe allenato con impegno, pazienza e determinazione.
Lo sguardo schierato
Utilizzando come appoggio i Diverbi di Interazione proviamo a distinguere un’analisi dell’interazione che inconsapevolmente incarna uno sguardo schierato, ed una invece che possa definirsi de-localizzata e dunque maggiormente imparziale. Vediamo per esempio come ragionerei se mi trovassi di fronte a questa conversazione:
A: «se posso darti un consiglio, forse stai bevendo troppo».
B: «non mi scocciare!!».
Se entrassi in una visione “schierata” e fondata sull’identificazione, potrebbe accadermi di guardare questo dialogo immedesimandomi in A.
Magari perché ho qualche amico che beve troppo.
Nel qual caso se qualcuno mi chiedesse di fare un’analisi di questa interazione io potrei dire: «A dà un consiglio a B, e B risponde male, senza ragione, visto che A sta solo esprimendo preoccupazione e affetto».
Ma potrebbe anche darsi che io mi identifichi in B, magari perché l’esperienza che vivo spesso è quella di essere pressato da persone che, in nome dell’affetto che provano per me, ritengono di avere il diritto di dirmi cosa fare. In questo caso potrei fare una lettura diversa: «ha ragione B a rispondere con forza, perché A è stato invadente nel dare consigli non richiesti e dovrebbe imparare a rispettare di più i confini dell’altra persona».
In ognuno di questi due casi io sto parlando di A e di B?
Ovviamente no.
Io sto parlando di me.
In un bellissimo aforisma Anais Nin dice:
non vediamo le cose come sono, le vediamo come siamo.
Ma quando ci identificandoci in una parte o nell’altra, stiamo traendo una conoscenza sufficientemente affidabile? L’analisi dell’Interazione si fonda sulla convinzione che esista la possibilità di uno sguardo “osservativo”, non schierato, molto più affidabile e, quindi, più utile.
Questo sguardo potrebbe farci leggere quello scambio in quest’altro modo:
A: «se posso darti un consiglio, forse stai bevendo troppo».
B: «non mi scocciare!!».
A prende l’iniziativa di dare un consiglio a B.
B rifiuta il consiglio con veemenza.
Con questa Analisi avremmo “tolto” molti particolari, rimanendo con in mano una lettura molto scarna e apparentemente poco utile.
Però questa “osservazione non schierata” potrebbe almeno farci intuire che ci mancano informazioni per poter dire davvero cosa sta succedendo tra loro. E già questa osservazione, potrebbe risultare utile. Essere usciti da uno “schieramento emozionale istintivo” ed essere entrati nel “tentativo di essere imparziali” potrebbe farci rendere conto che ne sappiamo troppo poco per poter fare una valutazione e capire se in quel momento abbia più senso il consiglio di A oppure l’insofferenza di B.
Questo è già un passo avanti.
C’è differenza tra dire: “B risponde male senza ragione”, dal dire “B rifiuta il consiglio con veemenza”. Così come c’è differenza tra dire “A è stato invadente” oppure dire “A prende l’iniziativa di dare un consiglio a B”. E la differenza tra le due versioni riguarda la differenza che esiste tra guardare ciò che c’è (e solo ciò che c’è), oppure portare (involontariamente e inconsapevolmente) all’interno del campo osservato, qualcosa che nel campo non c’era, ma c’era in noi.
È dunque la differenza tra osservazione e interpretazione.
INTERPRETAZIONE
L’interpretazione è la pratica umana (molto utile in tanti casi) dell’usare informazioni accumulate precedentemente, per “indovinare” l’interezza di un qualcosa, quando una parte di esso è inaccessibile al nostro sguardo. Un uomo primitivo immerso nella natura, per esempio, poteva salvarsi proprio per la sua capacità di indovinare la presenza di un puma nascosto tra il fogliame, solo scorgendone un piccolo lembo di pelle. Quindi l’interpretazione è una funzione utilissima che però, in determinate circostanze, potrebbe trarci in errore. Questo perché il nostro sistema cognitivo riempie i “buchi” così velocemente e automaticamente da dimenticarsi a volte che non si tratta di una “osservazione” ma di una “interpretazione”, che quindi si configura in grossa parte come “supposizione”. Insomma il nostro cervello, nell’urgenza di dover capire quali comportamenti mettere in atto, usa delle supposizioni come se fossero osservazioni. E questo nelle relazioni in molte occasioni può innescare grandi problemi. Il primo sforzo dunque, in una Analisi dell’Interazione affidabile, è quello di saper riconoscere e smascherare le nostre supposizioni, per fondarsi solo e soltanto su ciò che è davvero presente e visibile nell’interazione. Nell’interazione di prima è chiaro che la risposta di B (non mi scocciare!) fa intuire che B si è sentito invaso dalla frase di A (stai bevendo troppo). Ma tradurre questa sensazione nella considerazione che “A è stato invadente” aggiunge molte cose di cui non si può essere certi, perché si fondano su sentimenti interiori non visibili. “A è stato invadente” sottintende che “B si è sentito invaso” (non possiamo sapere cosa B ha sentito dentro di sé) e poi, soprattutto, esprime un giudizio di valore, perché il termine “invadenza” ha una connotazione di azione scorretta verso qualcuno. Dire “A è stato invadente” dunque è una interpretazione fondata su alcune supposizioni, che a volte possono anche essere corrette, ma che non sono utili se si sta cercando di conseguire uno sguardo super-soggettivo non schierato. L’analisi dell’interazione invece vuole basarsi solo su osservazioni affidabili. Cioè, invece di aggiungere supposizioni, toglie particolari cercando di far emergere l’essenza di ciò che era già nel campo. Insomma ammette di non poter sapere per certo ciò che non è visibile e si fonda solo sul visibile.
A: «se posso darti un consiglio, forse stai bevendo troppo».
B: «non mi scocciare!!».
A prende l’iniziativa di dare un consiglio a B.
B rifiuta il consiglio con veemenza.
Naturalmente ci si potrebbe chiedere: in che modo mai potrebbe essere utile alla conoscenza, tradurre qualcosa che ha più particolari in un suo corrispettivo, altrettanto fedele, ma con meno particolari? Cioè in che modo mai il togliere informazione, può aiutare la conoscenza? Ciò è possibile perché, contro ciò che potrebbe essere intuitivo, a volte togliere alcune informazioni può farne aumentare altre, perché in realtà si stanno togliendo informazioni ad un livello, per aumentarle a un altro livello (cfr. la Teoria dei Tipi Logici di Bertrand Russel). Cioè, detto con una metafora, perdo il livello in cui riesco a distinguere la foglia di un pioppo da quella di una quercia, però allontanandomi dal livello di quei dettagli e guardando tutto da venti metri di altezza, inizio a vedere che forma abbia la foresta di cui quegli alberi fanno parte. Ciò è possibile attraverso un processo di “discernimenti” e di “Astrazioni deduttive”.
Astrazioni deduttive
L’astrazione deduttiva è quando tiro fuori (de-duco) informazione grazie ad un processo di “sfocatura” dei dettagli (elementi), per concentrarsi sull’insieme (categorie di elementi).
Per esempio osservando da vicino una danza d’accoppiamento tra due piccioni, potrei essere colpito dalle movenze dei corpi e delle penne, osservandola dall’alto non vedrei più il dettaglio dei movimenti, ma magari potrei accorgermi di quali traiettorie d’accerchiamento il maschio disegni attorno alla femmina. All’interno dei Diverbi di Interazione un processo di questo tipo, di astrazione e riduzione dei dettagli, consiste nel trascurare il contenuto più particolareggiato di uno scambio, ricostruendolo in modo più semplice.
Un esempio portato all’estremo sarebbe:
A: Mi vuoi sposare?
B: Sposare?! Ma non ci penso proprio!
Analisi dell’interazione:
A propone una cosa a B.
B non accoglie la proposta.
La prima impressione è che togliere questi particolari snaturi la comprensione dello scambio in atto. È ciò è certamente in parte vero. Infatti ci potremmo trovare con due situazioni molto differenti, eppure che ricadono nella stessa analisi.
Per esempio (surreale):
A: Vieni a morire con me?
B: No, grazie.
Anche questa interazione poteva essere ricostruita con un:
A: propone una cosa a B.
B non accoglie la proposta.
Non diventa allora confondente e fuorviante questo approccio?
Dipende da come lo si utilizzerà.
Usando un processo deduttivo, che non aggiunge supposizioni, ma estrae informazioni dal riflettere su ciò che c’è già, è possibile trarre qualcosa di valido. Incrociando la situazione dettagliata con vari livelli di astrazione, è possibile infatti giungere a conclusioni utili e molto condivisibili, che io chiamo Discernimenti.
Per esempio confrontando le frasi di prima con altre, posso arrivare a questo discernimento analitico:
In alcuni casi le interazioni sono costituite da una proposta e una risposta.
Potrei chiedermi allora se è sempre così e, cercando altri esempi potrei capitare su un’interazione simile alla precedente, ma diversa per un particolare (ora faccio esempi surreali, perché più utili allo scopo):
A: «ti ordino di sposarmi».
B: «Non ci penso proprio».
Mi accorgerei qui, confrontando “ti ordino di sposarmi” con “mi vuoi sposare” che devo diventare capace, nell’analisi dell’interazione, di distinguere questi due livelli, perché profondamente differenti.
Nel primo si tratta di una proposta e nel secondo si tratta di una ingiunzione. Ed ecco allora un nuovo Discernimento:
Dentro le interazioni possono verificarsi delle proposte o delle ingiunzioni.
La differenza tra proposta ed ingiunzione è nel fatto che nell’ingiunzione è presente un livello di obbligo, che nella proposta non è esplicitato.
Continuando ad esplorare in questo modo è possibile giungere a innumerevoli discernimenti che, ad un certo punto potranno rivelarsi davvero preziosi per comprendere meglio le dinamiche relazionali e il perché alcuni modi di interagire possono alimentare conflitto e sofferenza nelle nostre relazioni.
Questi discernimenti, come si vede, non esprimono giudizi di valore ma solo distinzioni di categoria e delimitazioni degli elementi che costituiscono un insieme. Per esempio:
Proposta: quando un io chiama un tu ad un “noi”, con una formulazione che lascia aperta la libertà di adesione o non adesione.
Ingiunzione: quando un io chiama un tu ad un “noi”, con una formulazione che presuppone l’adesione alla proposta, senza contemplare la possibilità di non adesione.
Ecco allora che il soggetto può farci qualcosa di supe-soggettivo, con questi discernimenti.
Per esempio potrei andare a riprendere una interazione avuta il giorno prima con mio figlio:
Tra genitore (a) e figlio (b)
A: Quando hai finito di mangiare, sparecchia.
B: Guarda che lo stavo per fare…
E usando i discernimenti potrei dirmi: A (che poi sarei io) cosa fa qui, una proposta o una ingiunzione? Usa la forma verbale dell’imperativo, quindi fa una ingiunzione. E questo magari potrebbe rendermi più chiaro perché ho ricevuto una risposta insofferente. C’era proprio bisogno di dirgli così? Avrei potuto dirglielo in un modo migliore?
Ecco: l’Analisi dell’Interazione, attraverso l’uso di Astrazioni Deduttive che portano a Discernimenti, cerca di offrire al Soggetto nuovi punti di prospettiva per cercare di far emergere consapevolezze super-soggettive («mannaggia, avrei potuto dirlo con più gentilezza!») e individuare “Buone Pratiche Relazionali” che possano aiutarlo a migliorare le sue interazioni inter-soggettive.