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La guerra bruta

Due brave persone,
che si amano sinceramente,
chiuse all’interno di una vicinanza relazionale
che mette in collisione i bisogni,
possono arrivare ad odiarsi,
anche se potenzialmente avrebbero potuto amarsi.

E ciò avviene per problemi intrinseci allo “stare in relazione” e intrinseci alla “natura umana”.
Ovvero non “difetti identitari”, ma Bug di Processo Relazionale.

Questa è la premessa fondamentale a tutta la ricerca della Relazione Amorevole.
Premessa che viene espressa in sintesi in questa frase:

«La vicinanza non è il compimento dell’amore,
ma è la sfida più grande che l’amore deve attraversare».

Alcuni dei più importanti Bug di Processo Relazionale sono Bug cognitivo/operativi, ovvero quando il soggetto affida all’AVERE RAGIONE la speranza di ESSERE SALVO.

Cioè nella vita cerchiamo di salvarci attraverso ragionamenti sensati e “veri”.
Ma quando portiamo le nostre “verità salvifiche” dentro l’interazione inter-soggettiva accade una cosa che ci rimane invisibile: l’opposizione di “ragioni differenti” sta producendo più danno di ciò che quelle ragioni volevano salvare.

Cioè una situazione in cui erano presenti:
UN PROBLEMA e due potenziali vittime DEL PROBLEMA;
si trasforma in:
uno SCONTRO in cui due persone diventano potenziali vittime L’UNA DELL’ALTRA.

Insomma l’emotività offusca l’intelligenza creando conflitto lì ove avrebbe dovuto esserci alleanza.

All’interno della vicinanza affettiva, a causa di questi bug, si può facilmente passare dall’alleanza iniziale (fase dell’idillio), ad un “conflitto controllato” (fase reattiva), fino a giungere ad una “guerra bruta” (fase degenerativa).

È importante studiare con ludicità e precisione in quale modo due teste intelligenti e sinceramente desiderose di creare un’alleanza, possano finire senza volerlo dentro una guerra bruta.

Per capirlo caliamoci in uno scenario immaginario:

Due scienziati molto intelligenti vengono imprigionati in una stanza chiusa, insieme ad una bomba a orologeria innescata con due cavi, uno rosso e uno blu, che fuoriescono dal dispositivo; una forbice; e la certezza che tagliare uno dei due cavi disinnescherà la bomba mentre l’altro cavo la farà scoppiare.

La bomba, molto complessa e composta da numerosissime parti, non permette di essere analizzata in modo completo, e questo fa sì che, per quanto loro siano competenti di bombe, intelligenti ed in possesso di informazioni, nessuno dei due scienziati potrà mai dire di essere in un DILEMMA a INFORMAZIONE COMPLETA.

Un dilemma a informazione completa è un dilemma che consente, se si usano nel modo corretto tutte le informazioni, di arrivare a una conclusione univoca dove è possibile conoscere con certezza, su due opzioni, quale sia corretta e quale sia errata. Per esempio una operazione algebrica corretta è un dilemma a informazione completa.
Nei casi di dilemma a informazione INCOMPLETA, invece, accade una cosa molto problematica.
Per comprenderlo facciamo prima un esempio matematico molto semplice di dilemma a informazione completa.

Proviamo a calcolare la somma algebrica di tre numeri (che possono essere positivi e negativi) per stabilire se il risultato è maggiore o minore di zero (se è un numero positivo o negativo).

+200 -200 +5 = ?

Facile vedere che il risultato è + 5 dunque il risultato è un numero positivo.

Oppure: 200 -200 -5 = ?
Il risultato finale è +5, dunque è un numero negativo.

I numeri possono essere più complessi e invece di essere tre possono essere anche 100, ma se io conoscerò i valori di tutti i numeri, anche se faticherò un po’, arriverò sempre ad un risultato univoco e certo. Questo è un dilemma a informazione completa.

Un dilemma ad informazione incompleta sarebbe invece:

200 – 200 + X = ?

Dove X può essere qualsiasi numero sia positivo che negativo, ma che è per noi incognito.

È evidente che, anche se l’incognita è di un solo numero, improvvisamente è cambiato tutto, perché io non ho alcuna possibilità di sapere con certezza se il risultato finale sia maggiore o minore di zero.

E questo problema rimarrebbe anche se io avessi una sequenza di 99 numeri conosciuti con ignoto solo il centesimo numero da sommare.
Non importa se i 99 numeri precedenti erano informazioni corrette, né importa se io ho calcolato in modo perfetto, comunque la mancanza di quell’unica informazione mi impedirà di dire quale sia l’esito finale.


Tornando ai due scienziati, loro analizzeranno la bomba con tutta la loro conoscenza, ma visto che alcune parti della bomba non saranno per loro osservabili, si troveranno comunque dentro un dilemma a informazione incompleta.
Se fossero lucidi potrebbero accorgersi di questo, dopo aver effettuato una attenta analisi dell’ordigno in uno stato d’animo davvero esplorativo, senza idee preconcette, senza “contratture” reattive.
Il problema è che il tempo sul timer scorre velocemente e la paura è molta.
In una situazione di pericolo il sistema umano si affida ai processi personali di valutazione e azione… Per cui immediatamente ognuno dei due inizia ad analizzare la bomba facendo ipotesi se sia salvifico tagliare il filo blu, o quello rosso.
Potrebbe facilmente darsi che visto che vengono da campi di studio diversi, finiscano a fare ipotesi diverse su quale sia il filo salvifico.
All’inizio le loro sarebbero solo ipotesi, dunque entrambi saprebbero di non avere informazione completa e di non essere ancora certi di nulla.
Ma purtroppo di solito a questo punto inizia ad agire un “bug” della natura umana che porta facilmente ad un processo che Gregory Bateson chiamava Schismogenesi.
Poiché la mia sensazione, seppur ancora non certa e solida, sia che tagliare il blu sarà ciò che ci salverà, se tu inizi a parlare di tagliare invece il rosso, io entrerò immediatamente in un forte spavento che mi spingerà, irrazionalmente, a rafforzare la mia posizione.
Perché improvvisamente ciò che percepisco come pericolo non è più tanto il “problema in atto”, ma soprattutto “la soluzione da te proposta”.
Visto che io ho la sensazione che il blu sia salvifico (anche se a ben pensarci non l’avevo ancora deciso in modo definitivo) la mia urgenza diventa impedirti di tagliare il rosso.
Il pericolo diventa prima di tutto tu che vuoi tagliare il rosso.
Se i due scienziati fossero riusciti a rimanere calmi avrebbero potuto fare una cosa utilissima e straordinaria. Avrebbero potuto SOMMARE i loro sguardi. Riuscendo anche a fare una verifica incrociata utile, che avrebbe permesso di far emergere quando, in alcuni momenti, stava entrando in errore l’uno, e quando stava entrando in errore l’altro.
Questa disamina senza SOLUZIONI GIÀ CRISTALLIZZATE, li avrebbe potuti portare a collaborare fino ad accorgersi di tre cose:
1) che in realtà (per la legge detta prima che basta una sola incognita per vanificare un calcolo corretto di 99 elementi) avrebbero potuto convenire che, anche se ognuno dei due pensava di avere una certezza solida su quale filo convenisse tagliare, in fondo rimanevano alcuni angoli ciechi che non rendevano quella certezza così solida come sembrava loro ad un primo sguardo;
2) che quella che avrebbe dovuto essere una ricerca comune, senza alcuna certezza preconfezionata, di soluzioni, si era invece trasformata in una sterile contrapposizione di opinioni, con un conseguente “tiro alla fune” tra le due opzioni, che li stava paralizzando e si stava trasformando nella vera ragione della loro morte imminente;
3) che forse si stavano fossilizzando su un solo modo di affrontare il problema, mentre magari avrebbero potuto cercarne insieme di più creativi, uscendo soprattutto dallo scontro e dalla paralisi.
Sì, perché se i due scienziati non si fossero fatti prendere dal panico, avrebbero potuto entrare in un dialogo creativo.
Ma purtroppo la natura umana, soprattutto in situazioni di forte stress, stanchezza, deprivazione e paura, è molto fragile… Per cui i due scienziati, molto facilmente andranno verso il “diverbio reattivo”, che è un luogo in cui si instaura un “monologare tra sordi”, cioè ognuno dei due dice quello in cui crede, ma nessuno dei due ascolta veramente ciò che dice l’altro.
Sono luoghi cioè dove la “paura per la soluzione proposta dall’altro” e soprattutto la paura che “lasciandolo fare” si “abdichi la propria salvezza” e ci si esponga ad una perdita sempre maggiore di controllo, diventa così forte da spingerci a difendere ciecamente la nostra posizione solo perché è la nostra e perché è la prima a cui abbiamo dato credito (non rilevando e ricordando che forse era troppo presto per dargli tutto quel credito).
La schismogenesi consiste proprio in un processo di retroazione rafforzativa tra due poli, tale per cui una differenza tra due posizioni, iniziata come minima, si enfatizza, irrigidisce ed estremizza a dismisura.
Per cui i due scienziati iniziano uno col dubbio che forse sia meglio tagliare il blu, e l’altro che sia meglio tagliare il rosso, ma il timore che la propria soluzione non sia più praticabile per colpa della contrapposizione dell’altro li fa concentrare sul costringere l’altro a dismettere la sua posizione. Questo produce la retroazione autorafforzativa che li porta ad una escalation di contrapposizione prima, e in una vera e propria guerra dopo.
Per cui il paradosso è che mentre i secondi del Timer scorrono e ci si sta avvicinando all’esplosione, da una parte della stanza i due scienziati si stanno azzuffando per impadronirsi delle forbici e tagliare il filo che, ognuno dei due, ritiene migliore.
Si sono ritrovati a combattere solo tra due opzioni (A or B ), invece di esplorare la ricerca di opzioni nuove e completamente differenti, sulle quali magari avrebbero anche potuto trovarsi d’accordo.
La guerra ad un certo punto può diventare così violenta da fare più danni in entrambi dell’esplosione stessa… O far sì che alla fine, pur avendo disinnescato la bomba, i due scienziati muoiano dissanguati subito dopo, per le ferite che si sono procurati nello scontro.
Se invece di finire in quest’esito, fossero riusciti ad un certo punto a rendersi conto dell’insensatezza di questo combattersi, avrebbero potuto mettere un attimo in Stand by quelle due opzioni di risoluzione che però, per la loro configurazione erano anche divisive e conflitto-geniche… E avrebbero potuto creativamente cercare in luoghi completamente diversi la salvezza, con l’uso di pensiero laterale e creativo, di cui, in condizioni normali, sono altamente capaci.
Avrebbero per esempio potuto capire che andare a tagliare uno dei due fili, cioè cercare di disinnescare la bomba, poteva non essere l’unica soluzione salvifica… rendendosi infine conto che era possibile spingere molto in fondo la bomba nel condotto di areazione presente su un lato del muro, proteggersi con i mobili presenti nella stanza e sopravvivere alla bomba non disinnescandola, ma facendola scoppiare in modo controllato.
Ma è importante capire che essere capaci di entrare in un dialogo creativo è qualcosa di molto difficile già normalmente, ma quasi impossibile quando le parti (una o entrambe) hanno ormai scavallato un certo livello di paura e di foga difensiva reattiva.
In questo caso c’è solo una via che, se non può comunque essere del tutto salvifica, contiene quanto meno i danni.
Consiste nel fatto di cercare di realizzare un conflitto circoscritto, invitandosi reciprocamente ad evitare una guerra bruta.
Anche nel passato, ed in tantissimi contesti diversi della storia umana, è stata usata una “convenzione nella guerra”. Cioè l’accordarsi di “fare di tutto per vincere” ma che “non tutto fosse permesso”. Ciò è un processo naturale anche presente in etologia, dove molti conflitti animali intra-species (tra individui della stessa specie) rimangono comunque all’interno di regole che cercano di impedire che lo scontro diventi più mortifero della necessità che lo genera.
In molti popoli è stato in uso il “duello tra campioni” di due eserciti, per risolvere una battaglia, o addirittura una guerra, evitando inutili spargimenti di sangue. Questo per dire che per quanto l’essere umano possa aver dimostrato ripetutamente la sua possibilità di ferocia indiscriminata in caso di guerra, ha però anche dimostrato in vari casi la possibilità di spostarsi da una GUERRA BRUTA (in cui tutto è lecito e che innalza incredibilmente lo scontro e i danni della guerra stessa) ad un CONFLITTO CIRCOSCRITTO grazie a “convenzioni contenitive”.
In alcuni casi dunque, in presenza di ipotesi inconciliabili e avversative di risoluzione di un problema caratterizzato da “urgenza di salvezza”, si potrebbe riconoscere che non ci si trova più in una posizione in cui può valere l’appellarsi ad una verità buona per entrambi.
Perché entrambi gli schieramenti sono ormai cristallizzati sulla certezza che la propria convinzione sia quella vera e salvifica, e la posizione dell’altro falsa e mortifera.
Accorgersi di questo potrebbe quanto meno far uscire i due schieramenti dalla percezione di essere portavoci di una “guerra santa”.
Cioè testimoni di una Verità Superiore, buona e giusta, in lotta con l’infedele, diabolico nemico perverso e disumano.
L’essere all’interno di un percepito di “guerra santa” fa completamente perdere il senso di un contenimento dello scontro, e tutta la lotta gradatamente si sposta dal riuscire “a impossessarsi della forbice, per tagliare il proprio filo”, per finire verso un colpire il nemico, lasciando paradossalmente, lì di lato, il timer continuare a scorrere.
Insomma in molti casi lo scontro può prendere la mano, facendoci perdere di vista sia lo scopo da cui era nato, sia il fatto che poi si dovrà cercare di convivere con i sopravvissuti di entrambi gli schieramenti, anche una volta esauritosi lo scontro.
È fondamentale capire che tra due fazioni convinte di essere nella verità, passa del tutto in secondo piano, di chi sia la “verità vera”, perché non c’è alcun modo, in quel momento, di verificarlo.
Giacché tra due sistemi cognitivi convinti entrambi di avere ragione, uno dei due sarà dunque in torto senza essere in grado di accorgersene.
Questo fa sì, per definizione, che se fosse in torto l’altro, però la sua convinzione di avere ragione, non sarebbe distinguibile dalla mia, che ho ragione davvero.
Ma questo rende speculare la posizione.
Cioè se fossi in torto io, non sarei in grado di accorgermene.
Chi abbia torto o ragione su un qualcosa che si fonda su un esito futuro, non può saperlo nessuno con certezza prima, ma forse, se si sarà fortunati, lo si potrà scoprire con certezza dopo.
Bisognerebbe avere l’onestà di riconoscere che, data la limitatezza del sistema cognitivo umano (e del problema sopra accennato che a volte basta un solo dato incognito od erroneo per vanificare una fila immensa di calcoli giusti), nessuno è in grado di dire PRIMA di alcuni eventi, quale sarà CERTAMENTE l’esito. Quanto meno in quei luoghi della vita dove il complesso, l’inatteso e il non previsto è sempre dietro l’angolo.
Per cui se i due scienziati si mettessero d’accordo su una verità convergente, quanto meno potrebbero supporre di avere, insieme, una verità migliore di quella che avevano isolatamente (se sono stati capaci davvero di sommare le loro sapienze).
Ma finché i due scienziati sono in disaccordo, solo il futuro potrà dire chi dei due aveva ragione, ma nel frattempo ci sarà uno dei due che lotta per una verità vera, di cui è del tutto convinto, e l’altro che lotta per una verità falsa, di cui però è altrettanto convinto.
Si tratta di una questione di verità, dunque, solo fin quando il piano del confronto è davvero un piano di sforzo di conoscenza.
Nel momento in cui il piano del confronto è uno sforzo di prevalere, passa in secondo piano chi ha ragione e passa in primo piano chi troverà il modo di vincere.
Questa cosa è così vera che è facile capire che infatti potrebbe facilmente succedere che vince chi dei due è più forte ma, purtroppo, portatore della verità sbagliata (ma comunque per lui giusta). Insomma, se stiamo in alleanza, allora stiamo davvero facendo un braccio di ferro a chi “ha la verità migliore”, ma nel momento in cui passiamo nello scontro, stiamo solo facendo a chi è più forte, giacché entrambi, anche chi ha torto, sarà comunque convinto di avere la verità migliore.
Siamo usciti da una relazione fondata sulla “emersione della soluzione migliore” e siamo entrati in una relazione fondata sul potere, sul: “vinca il più forte” (non su “vinca chi ha più ragione”).
Comprendendo tutto ciò, ogni partecipante ad uno scontro nato dal panico suscitato da una “urgenza salvifica”, potrebbe allora impegnarsi a “purificare la propria lotta”:
1) Ammettere che non si è in un conflitto basato sulla verità, ma su uno basato su differenti convinzioni;
2) rendersi conto che ormai il conflitto non si risolverà riuscendo a convincere l’altro della propria verità;
3) accettare e ammettere che dunque non si tratta di uno scontro tra “nobili e meschini”, tra “egoisti e generosi”, tra “sapienti e stolti”, tra “buoni e cattivi”, tra “giusti e ingiusti”;
4) comprendere che si ormai passati da una relazione fondata sull’alleanza (in cui avrebbe avuto valore una ricerca comune di una verità migliore, valida per entrambi) ad una relazione basata sul potere e sul combattimento per conseguire una vittoria della propria fazione, sull’altra fazione;
5) riconoscere questo potrebbe portarci a moderare la nostra percezione di “guerra santa” e dunque farci dire: io è normale che lotto per la mia convinzione, come è normale che loro lottano per la loro, non per questo io sono nobile e loro meschini;
6) potrei allora dismettere qualsiasi azione di attacco alla persona (offese, delegittimazioni, “colpi bassi”, azioni che aumentano in modo pericoloso per entrambi il livello dello scontro), e concentrarmi solo su ciò che può “farmi portare a casa” la posta in gioco;
7) concentrarmi a portare avanti una lotta strenua e determinata, forte, ma “pulita”, in modo che il prezzo della guerra non sia così salato da vanificare alla fine l’aver conseguito la vittoria.

Il paradosso è proprio questo: ci sono guerre condotte in modo così brutale da far sì che, anche chi la vince, ha perso lo stesso.
Una battaglia tra due persone per accaparrarsi una posta in gioco può essere svolta a lotta, a pugni, coi coltelli o con le pistole.
A volte basterà spingere lontano l’avversario e riuscire a tagliare il filo che diciamo noi…
E poi solo il futuro potrà dire con una certa sicurezza chi dei due aveva ragione.

Ma se, per tagliare il filo che diciamo noi, ci spariamo l’un l’altro… Allora forse ci stiamo dimenticando che questa non era una guerra contro uno squalo che voleva sbranarci…
Ma è una battaglia tra fratelli che, all’inizio, stavano solo cercando di salvarsi.

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Grazie se,chi lo ha letto tutto, me lo fa sapere.
Grazie se vi va di commentare.
Vi chiedo di non copiare e incollare, gentilmente.
Grazie a chi ha piacere di condividere.
Bruno


Photo by David Clode on Unsplash

3 risposte su “La guerra bruta”

La lucidità…… Grande compagna nella Relazione Amorevole…..
Grazie Bruno
Nonostante conoscessi la storia dei 2 scienziati, è stato importante rileggere l’articolo. Mi si sono chiariti alcuni concetti, e ho la sensazione che altri dettagli ancora vanno chiariti in me.
La spirale al lavoro…..
Un abbraccio

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